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Alimentazione, Nutrienti, Patologie, Terapia dietetica

Le diverse strategie nutrizionali che si possono attuare in corso di enteropatie croniche.


mercoledì 22 aprile 2020


Le diverse strategie nutrizionali che si possono attuare in corso di enteropatie croniche

Le enteropatie croniche sono un gruppo di disordini intestinali caratterizzati da una sintomatologia che persiste da almeno due settimane. Esse sono generalmente caratterizzate dalla presenza di diarrea, associata in alcuni casi a nausea, vomito e, nei casi più gravi, a dimagrimento dell'animale

Esse vengono classificate retrospettivamente in base alla risposta che danno a trattamenti dietetici e farmacologici in:
1. Enteropatie responsive alla dieta (FRD)
2. Enteropatie responsive agli antibiotici (ARD)
3. Enteropatie responsive a trattamenti immunosoppressivi (SRE/IRE)

All'interno di queste categorie rientrano numerosi disordini gastroenterici come la linfangectasia, l'enteropatia proteino-disperdente, l'IBD, l'enteropatia glutine-sensibile del setter irlandese e le reazioni avverse al cibo. Ognuna di essa può richiedere trattamenti nutrizionali e farmacologici differenti.

Quando un medico veterinario si approccia ad un paziente con sintomatologia gastroenterica cronica deve, innanzitutto, escludere che questi sintomi siano causati da patologie extra-intestinali come, ad esempio, l'insufficienza renale cronica, le patologie pancreatiche o epatiche o la malattia di Addison nonché dall'eventuale presenza di parassiti intestinali.

Inoltre, attraverso l'anamnesi e la descrizione della diarrea, dovrebbe riuscire a localizzare il tratto gastroenterico coinvolto maggiormente, in modo da capire se si tratti di una diarrea da piccolo o da grande intestino.

È importante che il veterinario effettui, innanzitutto, un esame delle feci ed un esame del sangue che comprenda, almeno, un esame emocromocitometrico e un esame biochimico completo. Questo dovrebbe permettergli di direzionarsi al meglio verso una possibile diagnosi. L'eventuale aggiunta di una radiografia e di un'ecografia addominale offre ulteriori informazioni sullo stato degli organi addominali e dell'intestino.

A seconda del tipo di enteropatia, il ruolo della nutrizione all'interno della terapia cambia considerevolmente, infatti, se in caso di FRD essa può essere l'unica terapia da attuare, in corso di ARD o SRE essa può fare da supporto a trattamenti farmacologici aiutando a migliorare la sintomatologia.

Inoltre, le strategie nutrizionali che si possono attuare in corso di enteropatie croniche sono differenti e spesso è necessario effettuare più tentativi prima di ottenere una risposta soddisfacente. Da quale iniziare dipende dal sospetto diagnostico del veterinario, da un'accurata anamnesi clinica e nutrizionale e, in parte, dalle esigenze del proprietario.

I due approcci nutrizionali più utilizzati in corso di patologie enteriche sono l'utilizzo di alimenti idrolisati o l'inserimento di una dieta ad esclusione.

Gli alimenti idrolisati vengono così definiti, poiché, i macronutrienti contenuti al loro interno sono stati sottoposti a un processo di idrolisi enzimatica che ne ha alterato la struttura chimica, evitando che essi possano stimolare una risposta antigenica nell'animale. Questi alimenti, infatti, sono generalmente costituiti da polipeptidi di basso peso molecolare, di una sola fonte proteica, che sono in grado di eludere il sistema immunitario dell'ospite. Uno dei principali vantaggi di questo tipo di alimentazione è la sua l'elevata digeribilità, che la rende un'ottima soluzione in corso di numerosi disordini gastroenterici. Inoltre, esistendo in commercio numerosi alimenti industriali idrolisati e completi, un'alimentazione di questo tipo, risulta molto comoda per il proprietario. Tra gli svantaggi di questo tipo di alimentazione, vanno ricordati la scarsa appetibilità e il loro ridotto contenuto in fibre che, in corso di alcune patologie, può addirittura provocare un peggioramento dei sintomi. Inoltre, essi non andrebbero utilizzati in tutti quegli animali in cui si sospetta una reazione avversa al cibo, in cui la dieta ad eliminazione (o privativa) rimane il gold standard per la diagnosi, nonché la terapia stessa. Questo tipo di alimentazione si basa sull'utilizzo esclusivo, per 6-8 settimane, di una singola fonte proteica e una singola fonte di carboidrato con cui l'animale non è mai venuto a contatto prima. La dieta privativa può essere effettuata attraverso una dieta casalinga, o un'alimentazione industriale, contenente solo una singola proteina, oppure una dieta monoproteica/monoglucidica che, oltre alla fonte proteica, contiene anche una singola fonte di carboidrati.  Il vantaggio di utilizzare una dieta commerciale, oltre alla facile gestione da parte del proprietario, consiste nel fatto che la maggior parte di questi alimenti, essendo già completi, possono essere utilizzati a lungo termine, anche, come dieta di mantenimento. Tuttavia, essa presenta alcuni svantaggi che possono renderla inadatta al fine di ottenere una diagnosi e la risoluzione della sintomatologia. Tra questi vogliamo ricordare la possibile contaminazione dell'alimento con altre proteine non dichiarate in etichetta. Alcuni studi hanno evidenziato come numerosi alimenti dichiarati monoproteici in realtà contengano anche fonti proteiche differenti da quella che dovrebbe essere l'unica presente all'interno. (Per ulteriori approfondimenti vi consigliamo la lettura del seguente articolo: Errori nelle etichette: un problema diffuso negli alimenti industriali per animali domestici)

Inoltre, se l'alimento industriale scelto è secco, bisogna considerare la probabile presenza di acari al suo interno che possono causare delle reazioni in animali con ipersensibilità agli acari e quindi una mancata risposta alla dieta. Il congelamento dell'alimento non sembra essere utile al fine di eliminare questo problema.

Optare, invece, per una dieta ad esclusione di tipo casalingo permette di essere sicuri delle fonti contenute al suo interno e, quindi, di essere diagnostica per un'eventuale reazione avversa al cibo. Tuttavia, essa presenta lo svantaggio di essere una dieta incompleta e, quindi, di non poter essere mantenuta nel lungo termine. Una volta che il paziente ha risposto positivamente a questo tipo di dieta, essa andrebbe completata e integrata al fine di renderla bilanciata per quell'animale, inserendo uno per volta gli alimenti e gli integratori che servono per renderla completa.

In ogni caso, è giusto ricordare che, dopo aver trovato la dieta adatta per quel soggetto, e dopo aver ottenuto una completa remissione della sintomatologia, vanno effettuati i cosiddetti "test di provocazione". Andrebbero perciò reinserite, una alla volta, le proteine che l'animale assumeva prima, al fine di capire quali tra queste siano la causa di un'eventuale riacutizzazione dei sintomi e, quindi, quali da escludere definitivamente dall'alimentazione del paziente. Spesso, purtroppo, i proprietari si rifiutano di effettuare questi test, ignorando l'importanza che essi potrebbero avere nella gestione, sul lungo termine, del loro animale. Questi test sono di fondamentale importanza anche per accertarsi che effettivamente la causa della sintomatologia gastroenterica sia una reazione avversa al cibo. Infatti, esistono numerosi disturbi gastroenterici (ad esempio quelli che causano un'alterazione della barriera intestinale) che rispondono ad un cambiamento dell'alimentazione, perché esso provoca un effetto benefico sui processi digestivi e sul microbiota, e non perché l'animale abbia una vera e propria reazione avversa ad uno specifico alimento. In questi casi capita che, il reinserimento delle proteine che l'animale ha mangiato in precedenza, non scaturisca più una sintomatologia clinica.

In numerosi soggetti affetti da enteropatia cronica, il cambio di alimentazione porta ad un miglioramento del quadro clinico, ma solo con una parziale remissione della sintomatologia. In questi animali la scelta nutrizionale più adatta potrebbe essere quella di impostare una dieta "gastrointestinale," ossia con delle caratteristiche specifiche (che spiegheremo meglio nel prossimo articolo) che possano favorire la digestione e il benessere del microbioma proseguendo, però, con un iter diagnostico che abbia come scopo quello di cercare il disordine gastroenterico specifico sottostante e improntare una terapia farmacologica corretta. Tra gli esami utili a questo scopo, ricordiamo esami ematologici più approfonditi che comprendano la misurazione dei folati, della vitamina B12, del TLI e di tutti quei parametri ematici che possano confermare o escludere eventuali patologie extra-intestinali che causano sintomi enterici. Infine, effettuare un'endoscopia con biopsia intestinale può essere l'unico modo per capire lo stato della parete intestinale e, in alcuni casi, portare ad una diagnosi definitiva.

Per alcuni di questi disturbi (come la linfangectasia, le enteropatie proteino-disperdenti o l'IBD) esistono delle linee guida specifiche sulle strategie nutrizionali da attuare in associazione ad eventuali terapie farmacologiche, al fine di migliorare la sintomatologia clinica di cui tratteremo più dettagliatamente in altri articoli.

BIBLIOGRAFIA:
- Ettinger S.J., Feldman E.C. Clinica medica veterinaria, malattie del cane e del gatto, sesta edizione
- Longato Erica. La gestione nutrizionale delle patologie intestinali del cane. La settimana veterinaria n 1079, 2019.
- Pibot P, Biourge V, Elliott D, enciclopedia della nutrizione clinica del cane, 2007, capitolo 3
- Rudinsky A.J., Rowe J.C. and Parker V.J. Nutritional management of chronic enteropathies in dogs and cats. Journal of the American Veterinary Medical Association, 2018; 253 :570-578.


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